Differenze tra le versioni di "Anandamayi Ma"

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A Dhaka era nota come “Manush Kali”, cioè “la Kali Vivente”, poiché [[Kali]] è la divinità patrona del Bengala. Sulle sponde del sacro fiume Narmada, fu salutata come “Devi Narmada”. A Madurai la chiamavano Dea Minakshi. Nel Punjab le tributarono onori al pari del santo Granth Sahab (il libro sacro nonché dio/guru dei Sikh). A Vrindaban, Sri Haribabaji Maharaj, un Mahatma molto rispettato, vide in lei la divinità cui era devoto, Gauranga. I Sindi devoti di Sri Udiyababaji Maharaj la riverirono quale forma visibile di Jhoolelal, loro Dio. A un devoto musulmano accadeva di vedere la sua immagine coronata da un Taj durante la meditazione. Un devoto cristiano esclamò spontaneamente “Ora abbiamo un volto da dare a Dio”. Le semplici donne degli altopiani di Almora avrebbero detto di lei: “Ora che abbiamo te con noi, non abbiamo bisogno di visitare il tempio”.
 
A Dhaka era nota come “Manush Kali”, cioè “la Kali Vivente”, poiché [[Kali]] è la divinità patrona del Bengala. Sulle sponde del sacro fiume Narmada, fu salutata come “Devi Narmada”. A Madurai la chiamavano Dea Minakshi. Nel Punjab le tributarono onori al pari del santo Granth Sahab (il libro sacro nonché dio/guru dei Sikh). A Vrindaban, Sri Haribabaji Maharaj, un Mahatma molto rispettato, vide in lei la divinità cui era devoto, Gauranga. I Sindi devoti di Sri Udiyababaji Maharaj la riverirono quale forma visibile di Jhoolelal, loro Dio. A un devoto musulmano accadeva di vedere la sua immagine coronata da un Taj durante la meditazione. Un devoto cristiano esclamò spontaneamente “Ora abbiamo un volto da dare a Dio”. Le semplici donne degli altopiani di Almora avrebbero detto di lei: “Ora che abbiamo te con noi, non abbiamo bisogno di visitare il tempio”.

Versione attuale delle 12:59, 15 dic 2021

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A Dhaka era nota come “Manush Kali”, cioè “la Kali Vivente”, poiché Kali è la divinità patrona del Bengala. Sulle sponde del sacro fiume Narmada, fu salutata come “Devi Narmada”. A Madurai la chiamavano Dea Minakshi. Nel Punjab le tributarono onori al pari del santo Granth Sahab (il libro sacro nonché dio/guru dei Sikh). A Vrindaban, Sri Haribabaji Maharaj, un Mahatma molto rispettato, vide in lei la divinità cui era devoto, Gauranga. I Sindi devoti di Sri Udiyababaji Maharaj la riverirono quale forma visibile di Jhoolelal, loro Dio. A un devoto musulmano accadeva di vedere la sua immagine coronata da un Taj durante la meditazione. Un devoto cristiano esclamò spontaneamente “Ora abbiamo un volto da dare a Dio”. Le semplici donne degli altopiani di Almora avrebbero detto di lei: “Ora che abbiamo te con noi, non abbiamo bisogno di visitare il tempio”.

Stiamo parlando di Sri Ma Anandamayi (nota anche come Sri Ma). Nasce il 30 aprile 1896 a Kheora (Bangladesh). La sua è una famiglia di bramini molto pia e prestigiosa, anche se povera. Le viene dato il nome di Nirmala Sundari Devi, che significa “bellezza immacolata”. Molto cara a tutti e sempre pronta a dare una mano nelle faccende e a servire chiunque le chiedesse di fare delle commissioni. Il villaggio, abitato soprattutto da famiglie musulmane, le riservò un affetto che sarebbe durato per molti anni e ancora oggi la popolazione islamica di Kheora la ricorda come la “Nostra Ma”. I genitori erano devoti Vaishnava (di Vishnu).

All’età di tredici anni viene data in sposa al bramino Sri Ramani Mohan Chakravarty, che lei chiamerà, e lui diventerà per tutti, Bolanath (uno dei nomi di Shiva). La convivenza effettiva inizia nel 1914, ma il matrimonio non viene mai consumato fisicamente e Bolanath non soltanto accetta la scelta di castità della moglie, ma ne diviene il primo discepolo.

Nirmala Sundari non ebbe alcun maestro ed inizia a manifestare già da giovanissima la sua particolare natura e le sue attitudini: è solita recitare mantra in sanscrito e praticare complicate asana yogiche per ore intere (pratica che nessuno le ha mai insegnato) cadendo spesso in stati di trance, cosa che contribuisce a diffonderne molto presto la fama.

Nel 1918 da Ashtagram, la coppia si trasferisce a Bajitpur, città che assume un significato speciale in quanto nel 1922, e precisamente il 3 agosto, avviene la sua auto-iniziazione e dove comincia anche il suo lungo voto di silenzio (che durerà per più di tre anni).

Nel 1924 la coppia si trasferisce a Dhaka. Molte persone cominciarono ad accorrere al suo cospetto tra cui anche molti noti maestri. La sua prima apparizione pubblica avvine, invece, nel 1925 in occasione del Kali-puja, una festa religiosa in onore alla Dea nera del Bengala, che Nirmala viene invitata a condurre. Nel corso della celebrazione, secondo la testimonianza dei presenti, i tratti della giovane religiosa si sarebbero trasformati fino ad assumere per un lasso di tempo le sembianze del volto di Kali. Un simile evento si racconta sia accaduto anche durante una festa di Krishna l’anno successivo. Una volta cessato il voto di silenzio, Nirmala inizia i suoi lunghi digiuni, intanto cresceva sempre di più il numero dei fedeli e dei pellegrini che si recano a farle visita e a renderle omaggio (tra i quali anche la sorella Didi ed il fratello Bhaiji) ed intorno a lei si forma una folta comunità spirituale, all’interno della quale, secondo diverse testimonianze, si verificano numerosi casi di guarigione di malati. Nel 1926, a Nirmala Sundari Devi il fratello e discepolo Bhaiji dona l’appellativo di Anandamayi Ma, che significa Madre permeata di Gioia. Nel 1936 avviene l’incontro con Paramahansa Yogananda, che la ricorderà in “Autobiografia di uno Yogi”: “Mataji rispose: “Padre, c’è poco da dire. La mia coscienza non s’è mai associata a questo corpo transitorio. Prima di venire su questa terra... ‘ero la stessa’. Da bambina ‘ero la stessa’. Divenni donna, ma ‘ero la stessa’. Quando la famiglia predispose di far sposare questo corpo, ‘ero la stessa’. Ed ora di fronte a voi, Padre, ‘io sono la stessa’; e per sempre in futuro, nonostante la danza della creazione cambi intorno a me nello spazio dell’eternità, ‘io sarò la stessa’”.

Il 1937 ed il 1938 furono rispettivamente gli anni della morte del fratello e del marito, tuttavia i viaggi proseguirono per tutta l’India assieme ad altri discepoli.

Nel 1942 incontra il Mahatma Gandhi, il cui stretto collaboratore, Sri Jamnalal Bajaj, diviene un fedele devoto. Nel 1944 incontra Sri Prabhu Dattaji Maharaj, un importante guru che la presentò ai capi di diverse congregazioni monastiche che affermano esplicitamente di riconoscere nelle parole della donna bengalese la quintessenza delle sacre scritture. Nel 1950 sono ormai tantissimi i devoti di Anandamayi Ma in varie parti del mondo, ed intorno a lei si formano oltre 20 Ashram, luoghi di pellegrinaggio anche da parte di numerose guide spirituali. Nel 1952 diede vita all’annuale Samyan Vrata, una particolare settimana dedicata al ritiro spirituale sotto la sua guida diretta.

Con il passare degli anni l’enigma della sua personalità si approfondì; fin dalla nascita Sri Ma era stata pienamente auto-cosciente; quando si immerse nella Sadhana, tutto le fu rivelato dai suoi Kheyala (pensieri che si realizzano). Era praticamente una ragazza analfabeta di villaggio, ma quando iniziò a insegnare si espresse nel linguaggio degli studiosi più eruditi, senza commettere il minimo errore nella logica delle argomentazioni. Era del tutto consapevole delle differenze dottrinarie e mai confuse le une con le altre nelle conversazioni che intrattenne con istruiti pandit. Così come non era stata iniziata ad alcun ordine religioso o scuola di yoga, non aveva incontrato Guru che potessero averla influenzata. Neppure si ritirò mai dal mondo per abbracciare la vita eremitica; né si sottrasse mai ad amici e parenti. Non aveva svolto la sadhana come è intesa generalmente nella tradizione, eppure poteva parlare con autorità di tutti gli aspetti della ricerca religiosa.

Il 14 gennaio 1947 su indicazione di un suo kheyala, a Varanasi si dà inizio a un grande Savitri Yajna il cui Sankalpa (richiesta, beneficio) è “Il Bene dell’Umanità”.

Negli ultimi giorni della sua vita Sri Ma è serena, ma stranamente comincia a sottrarsi alle preghiere delle persone attorno a lei e trascorre i suoi ultimi giorni nell’Ashram di Kishenpur. Non pronuncia alcun addio tranne le parole “Shivaya Namah” nella notte del 25 agosto 1982; questo mantra segna la dissoluzione finale dei legami mondani. Lascia il corpo la sera di venerdì 27 agosto 1982. Anandamay Ma è famosa in tutta l’India per la sua devozione instancabile ai poveri e agli indifesi. Lei ha aiutato molte persone senza casa e bisognose di cibo.

Ma lasciamo spazio alle sue parole con cui descrisse l’Hatha Yoga (che lei pratica spontaneamente senza apprenderlo da nessun maestro) e l’importanza della meditazione.

Che significa ‘hatha’? Fare qualcosa con forza. ‘Essere’ è una cosa e ‘fare’ è un’altra cosa. Quando c’è ‘essere’, c’è la manifestazione del prana in un determinato centro del corpo. D’altra parte, se si pratica l’hatha yoga come un semplice esercizio fisico, la mente non sarà minimamente trasformata. Con l’esercizio fisico si sviluppa la buona salute del corpo. Si sente spesso parlare di casi in cui l’abbandono della pratica delle posizioni yoga e simili causa disordini fisici. Il corpo s’indebolisce per mancanza del giusto nutrimento, così anche la mente ha bisogno del cibo adatto. Quando la mente riceve il giusto sostentamento, l’uomo avanza verso Dio; ma curando solo il nutrimento del corpo si accresce l’attaccamento al mondo. La mera ginnastica è nutrimento per il corpo. Quando l’abilità fisica che deriva dall’hatha yoga è usata per coadiuvare lo sforzo spirituale, non è sprecata; altrimenti non è yoga, ma bhoga (godimento). Il sentiero per l’Infinito sta nell’essere senza sforzo. Fino a quando l’hatha yoga non mira all’Eterno, non è altro che ginnastica. Se nel corso normale della pratica non s’avverte il Suo contatto, lo yoga è stato infruttuoso. Che pratichiate l’hatha yoga o il raja yoga o qualsiasi altro yoga, può essere dannoso solo se manca la pura aspirazione spirituale. Quando fate asana e cose simili, se avete trovato accesso al ritmo della natura vedrete che ogni cosa procederà in maniera dolce e spontanea. Da quali segni potrete percepirlo? C’è una sensazione di gioco, una gioia profonda, e il ricordo costante dell’Uno. Sentirete che non è il prodotto della pratica delle cose del mondo. In risposta a una domanda rivoltale da una donna che si era recata presso di lei in occasione dei darshana (il momento in cui il Maestro si mostra ai discepoli). «Anche se non ti senti incline a meditare, conquista la tua riluttanza e fai una prova. L'abitudine di innumerevoli vite ti spinge nella direzione opposta e ti rende difficile meditare; persevera malgrado ciò! Con la tua tenacia guadagnerai la forza e sarai plasmata; vai e a dire svilupperai la capacità di fare sadhana. Convinci la tua mente che per quanto arduo, il compito dovrà essere fatto. Il riconoscimento e la fama durano solo per breve tempo, essi non t'accompagneranno quando lascerai questo mondo. Se il tuo pensiero non si volge naturalmente verso l'eterno, fissacelo con uno sforzo di volontà. Qualche severo colpo del destino ti spingerà verso Dio, e questo sarà solo un'espressione della Sua Misericordia. Per quanto doloroso, è con questi colpi che s'impara la propria lezione. L'ostinazione della mente deve essere vinta con risolutezza. Sia che la mente cooperi oppure no, devi essere adamantina nella tua determinazione di compiere senza fallo un certo numero di pratiche - semplicemente perché la sadhana è il vero lavoro dell'uomo.»