Satya

Da Yogapedia.it.

Nel viaggio nel Raja Yoga subito dopo Aimsha (non violenza ed amorevolezza) troviamo Sathya. Sathya è la verità, ma chiaramente non può essere intesa come il semplice non mentire. Oltre ad essere veri nelle parole dobbiamo anche essere, veramente, noi stessi. Vimala Thakar, maestra afferma che Sathya è essere coerenti alla verità che si è compresa. Comunicare i fatti per quello che sono senza aggiungere motivazioni proprie.

Quando si è capaci di ascoltare il proprio cuore, andando oltre il velo di pigrizia, paura, istinto di non cambiare (il famoso velo di Maya che adombra la nostra visione) ci si apre alla sincerità e all’onestà. Non è un percorso semplice, richiede coraggio e non va confuso con l’istinto di dire tutto quello che ci passa per la mente, attitudine molto spesso presentata come sincerità che spesso, tuttavia, muove da sentimenti e istinti tutt’altro che sinceri e che spesso serve a solo a fare del male a chi ci sta accanto (in netta contrapposizione con Aimsha).

Per essere veri occorrono essenzialmente tre cose:

  • Ascoltare se stessi. Anche nella nostra pratica yoga, dobbiamo imparare ad ascoltarci, percepire e rispettare tutto quello che il corpo ci comunica, perché se la mente “mente” (e lo dice la parola stessa), il corpo non ci mente e imbroglia mai. Se sentiamo che un’asana, una sequenza non fanno per noi, ci fanno stare male o comunque inducono in noi sensazioni negative, dobbiamo riuscire a rispettare la “verità del nostro corpo”, senza giudizio e senza aspettative, non guardando chi accanto a noi effettua i movimenti con facilità (lo Yoga non è e non deve essere vissuto come competizione… e se volete un consiglio, praticate ad occhi chiusi e non incorrerete nella tentazione di sbirciare il vicino virtuoso dello Yoga che agevolmente fa anche Mayurasana).
  • Togliersi le maschere nel senso di accettare quello che siamo o altrimenti essere consapevoli che stiamo portando una maschera. Essere sinceri con se stessi è spesso assai più difficile che essere sinceri gli altri. Non sempre riusciamo (ma soprattutto vogliamo) ammettere che i nostri usuali comportamenti non riflettono ciò che davvero siamo, ma sono solo il risultato delle maschere che abbiamo deciso di portare. Cerchiamo di indossare la maschera della moglie, marito, genitore, figlio, lavoratore (e magari anche insegnanti di Yoga) modello, maschere che ci pesano, ci portano via energia assorbono tempo e fatica. Sathya sembra una pratica faticosissima (pensate come sarebbe essere sempre sinceri ma amorevolmente con gli altri), ma pensiamo a quanto possa essere liberatorio cominciare ad ammettere a noi stessi che stiamo indossando una maschera, ma che non siamo quella maschera. Abbandonare progressivamente la pesantissima maschera e ridurre lo spazio esistente tra quello che crediamo di essere e ciò che siamo veramente, questo è il percorso da fare per amare noi stessi. Essere davvero noi stessi (accettando il bene ed il male, il bianco ed il nero, il positivo e il negativo che c’è in ciascuno di noi) crea molta armonia e ci fa risparmiare energia. Energia che possiamo utilizzare per essere noi stessi e quindi felici (perché altro non siamo che un frammento di divino e il divino non è sicuramente triste).
  • Vivere nel qui e ora. Siamo veri solo se viviamo continuamente nel presente. Essere nel qui e ora significa esserci totalmente, essere completamente presenti a se stessi in ogni situazione. Più facile a dirsi che a farsi, senza dubbio!!! E infatti, tutti noi siamo abituati a trascorrere la nostra esistenza pianificando il futuro e crucciandoci per il passato (o continuando a rimanere legati ad esso). Il presente, però, è l’unico tempo a nostra disposizione e la serenità comincia proprio da qui. Molte delle situazioni di disagio psicologico che ci troviamo ad affrontare, nascono proprio da un’errata percezione del tempo (il velo di Maya pare non abbandonarci mai o forse siamo noi a non volercelo levare…), ossia dalla tendenza comune a identificarsi in un tempo diverso dalla realtà del momento presente.

Il risultato di questo “vagare nel tempo” molto spesso si tramuta in paura, ansietà, impazienza, frustrazione, rimpianto, colpa, rabbia e stress. "Vivi il presente”, “cogli l’attimo”, “segui l’onda”, “lasciati trasportare dal flusso”, “vivi il qui ed ora”… Spesso ci sentiamo ripetere (e magari ce le ripetiamo anche da soli) queste parole ma si possono davvero capire solo sperimentando, sperimentando e sperimentando ancora. La verità del qui e ora è da sempre sostenuta da molte tradizioni spirituali (se non tutte) che vedono nell’Adesso la chiave d’ingresso alla dimensione spirituale. Anche a chi è uso andare in chiesa (non bisogna necessariamente praticare yoga, essere buddisti o seguire pratiche orientali) sarà capitato di ascoltare durante la lettura dei Vangeli frasi come: “Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso” (Matteo, 6,24-34), “Nessuno che abbia messo la mano all’aratro e poi riguardi indietro è adatto al regno di Dio” (Luca 9-32). Quindi cerchiamo di vivere nella verità e nel qui e ora… La Bhagavad Gita ci dà a proposito un grande insegnamento… Lo yogi beatamente assorto nella verità e nella realizzazione del Sé è indissolubilmente unito (allo Spirito). Imperturbabile, conquistatore dei suoi sensi, egli guarda con occhio equanime una zolla di terra, una pietra e l'oro. (Bhagavad Gita, VI: 8)